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lunedì 10 settembre 2012

La crisi come corsa alla felicità: quarta puntata

Colonna sonora consigliata per l'articolo:
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3.6. Bartolini:  la crisi come corsa alla felicità.

 Perché le famiglie americane si erano tanto indebitate fino a raggiungere un’esposizione notevolmente superiore al PIL? Avevano un’irrefrenabile urgenza di consumare sempre di più. Come afferma Robert Reich, ex Ministro del Lavoro, la classe media è andata in
profondo rosso a mano a mano che gli uomini non potevano più inserire ore di lavoro nelle loro giornate e il numero delle madri lavoratrici era  raddoppiato, in questo modo vi è stata una relazione significativa tra debito e stagnazione salariale. Bartolini, nella sua opera intitolata “Manifesto sulla felicità” (2010) afferma che la felicità degli americani tende a diminuire nonostante la maggior ricchezza, quelli che si sentono molto felici sono passati dal 38% del 1972 al 34% del 2006, mentre il PIL pro capite è raddoppiato; inoltre sono aumentati i suicidi, l’utilizzo di psicofarmaci, gli stati depressivi e le malattie mentali. L’ipotesi è che lo sviluppo forsennato di consumi privati serva a controbilanciare il venir meno dei beni relazionali, in questo modo si verifica il degrado di questi beni che sono gratuiti e comuni. Ma il venire meno di questi beni contribuisce alla crescita economica in una spirale perversa. Ad esempio se non abbiamo tempo e ne voglia o capacità di coltivare amicizie, per passare il tempo acquisteremo tutti i prodotti dell’intrattenimento domestico e solitario. Si verifica una trasformazione degli stili di vita che richiedono più denaro. Purtroppo arricchirsi di beni non soddisfa il cittadino tipo se le sue persone di riferimento sono più fortunate, il quale corre su un tapis roulant: guadagna denaro, ma perde relazioni umane, vive in un ambiente inquinato, ha meno fiducia nelle istituzioni ed è tormentato da invidia sociale. Per compensare la mancanza di onestà, solidarietà e della famiglia, il cittadino tipo dovrebbe guadagnare 67 mila dollari in più e se privo di relazioni dovrebbe averne 320 mila dollari in più. Da tutto ciò si evince che gli individui hanno dovuto integrare il proprio reddito da lavoro con la carta di credito per inseguire consumi infelici e ciò ha portato a una crescita negativa dell’economia.

  1. Beni posizionali e beni relazionali

Prima di spiegare le teorie economiche sulla felicità che hanno per oggetto questo tipo di beni, occorre prima enunciare entrambe le definizioni.
Per beni posizionali intendiamo quel sottoinsieme di beni privati che hanno un vincolo di scarsità sociale, non un vincolo di natura fisico materiale: la scarsità posizionale è inerente alla natura sociale delle interazioni economiche1. Questi beni sono molto importanti all’interno delle economie avanzate e comporta che la domanda di posizionalità non può essere soddisfatta da una crescita nel livello assoluto di ricchezza della società. Se i soggetti sono guidati da un orientamento di tipo posizionalistico l’utilità soggettiva deriva non dai valori assoluti, ma dai valori relativi, ossia dalla posizione relativa valutata rispetto ad uno specifico gruppo sociale di riferimento. Ci sono certi beni che non vengono scelti perché sono dotati di particolari caratteristiche intrinseche, ma solo per la loro capacità di servire da certificatori di status socio economico che molto spesso è correlata positivamente ai prezzi di mercato di questi beni; ossia la collettività attribuisce a questi beni un significato simbolico che è associato dalle norme sociali vigenti.

3.1 Effetto di Veblen


La diffusione di beni posizionali riguarda soprattutto il ruolo svolto dai meccanismi di influenza sociale sulle motivazioni dei singoli individui, come nel caso dell’effetto di Veblen: è un meccanismo sociale per mezzo del quale l’attività di consumo da parte di un soggetto ha finalità essenzialmente dimostrative con lo scopo di certificare lo status socio-economico dell’individuo. Anche Hirsch nel 1976 aveva compreso che la crescita economica nelle economie avanzate comporta un aumento di domanda posizionale.
Già durante l’Illuminismo Hume e Smith hanno affermato che il lusso anche se a livello individuale è basato sull’inganno è una molla essenziale per lo sviluppo della ricchezza delle nazioni. Come afferma Mandeville nella sua famosissima “Favola delle api”, una società viziosa come l’alveare che alimenta i lussi anziché contrastarli, produce ricchezza e benessere, mentre le virtù portano alla rovina economica. Genovesi, che è contemporaneo di Smith, afferma che il consumo posizionale non è un fenomeno nuovo perché lo si trova anche nei selvaggi e questo istinto verso la distinzione sociale deve essere attivato da qualche occasione naturale o civile, così se questo istinto viene attivato da queste occasioni si ha la forza (Ercole), l’astuzia (Ulisse), l’ingegno (Archimede). Genovesi afferma anche che “sono quasi le sole cose per le quali si distinguono i repubblicani in tempo di rozzezza”2. Le cose cambiano quando abbiamo a che fare con la vita urbana, dove il principale mezzo per distinguersi è rappresentato dal lusso, dove questo fenomeno è strettamente legato alla vita civile e per questo attecchisce benissimo nelle città. Il discorso è un po’ differente per i beni pseudo-posizionali sui quali ci concentriamo prendendo come riferimento le economie avanzate.

    1. Beni Pseudo-posizionali

Prima di spiegare cosa sono i beni pseudo-relazionali occorre precisare che l’economia comportamentale evidenzia che i soggetti sono spesso afflitti da limiti cognitivi di varia natura che li rendono incapaci di prevedere in modo sufficientemente preciso i propri livelli di utilità futura. Però queste considerazioni non sono solo relative al lato della domanda, ma il ragionamento si incentra sul lato dell’offerta soprattutto in una logica profit-oriented, perché vi è la tendenza da parte di un numero molto grande di soggetti for profit ad estendere la platea dei potenziali fruitori dei beni con valenza posizionale che essi producono. Infatti questi soggetti hanno colto la natura prettamente simbolica di numerosi bisogni post-materialistici, così i soggetti for profit tentano lucidamente non solo di intercettarli, ma anche alimentarli, accrescendone la diffusione sociale. Possiamo quindi affermare che i beni pseudo-posizionali sono beni di largo consumo che costituiscono solo apparentemente un veicolo di posizionalità, perché la posizione relativa che questi promettono si rivela inevitabilmente effimera proprio alla luce della natura diffusa di tale modalità di consumo. Il consumo di questi beni determina l’impossibilità di poter conferire benefici esclusivi nella misura in cui la platea dei beneficiari arriva a coincidere con l’intero universo dei consumatori. In questo modo viene azzerato il valore simbolico che li rende appetibili agli occhi dei consumatori guidati da preferenze di tipo posizionalistico: la loro diffusione su larga scala riduce il grado di scarsità sociale degli stessi. Infatti il loro “punto forte” è la capacità di produrre simultaneamente identificazione tra il soggetto che ne fruisce ed il proprio gruppo di riferimento e differenziazione rispetto al resto della società nel suo complesso. Questi beni creano uno status fittizio, in quanto soddisfano il desiderio di posizionalità con beni che, come ricorda Scitovski, producono subito noia e frustrazione.

    1. Beni Relazionali

Dopo aver spiegato cosa sono i beni relazionali, ci soffermiamo sulla categoria di beni relazionali la quale è stata introdotta nella seconda metà degli anni ottanta da quattro autori: Martha Nussbaum, Pierpaolo Donati, Benedetto Gui, Carole Uhlaner. Benedetto Gui e Carole Uhlaner, per beni relazionali intendono quelle dimensioni delle relazioni che non possono essere ne prodotte ne consumate da un solo individuo, perché dipendono in maniera decisiva dalla natura delle interazioni con gli altri. Donati invece, lo intende come un bene che può essere prodotto e fruito soltanto insieme a coloro i quali ne sono gli stessi produttori e fruitori, tramite le relazioni che connettono i soggetti coinvolti. Anche se la contribuzione alla produzione del bene può essere asimmetrica, nell’atto del consumo del bene relazionale, il free riding non è possibile perché il bene relazionale per essere goduto richiede che ci si lasci coinvolgere in questa relazione. La teoria economica tende a vedere i beni relazionali come una realtà distinta dall’atto di consumo e produzione, infatti mira a separare il bene relazionale dalla relazione stessa come afferma Gui. Egli stesso propone di analizzare un incontro tra un venditore e un potenziale acquirente, dove oltre ai tradizionali outcome, come ad esempio la fornitura di un servizio, vengono prodotti altri output di natura intangibile quali i beni relazionali. Di conseguenza per Gui e Uhlaner i beni relazionali non coincidono con la relazione stessa: l’amicizia non si rappresenta in quanto tale come un bene relazionale, ma come un’interazione ripetuta, una serie di incontri e di stati affettivi di cui il bene relazionale è solo una componente. Martha Nussbaum invece vede nell’amicizia nell’amore reciproco e nell’impegno civile tre tipici beni relazionali, nei quali è la relazione a costituire il bene: infatti essi nascono e muoiono con la relazione stessa. In tutte le definizioni di beni relazionali, la dimensione della reciprocità svolge un ruolo essenziale, siccome come abbiamo notato sono beni dipendenti dalla natura e qualità delle relazioni interpersonali: l’attività vicendevole e il sentimento reciproco e la mutua consapevolezza sono una parte tanto profonda dell’amore e dell’amicizia che Aristotele non è disposto ad ammettere che una volta tolte le attività condivise e le forme di comunicazione resti qualcosa degno del nome di amore o di amicizia. Molto importante è la motivazione che muove l’altro e come dichiarava Aristotele, l’amicizia più alta non può essere mai strumentale perché è una virtù. In seguito Martha Nussbaum sostenne che, per le caratteristiche sopraelencate, i beni relazionali sono fragili e vulnerabili perché sono legati alla non controllabilità da parte del singolo agente. Infatti questi beni dipendono anche dalla libertà di coloro con i quali interagiamo. Un’ulteriore caratteristica del bene relazionale è la gratuità nel senso che il bene relazionale è tale se la relazione non è utilizzata strumentalmente, ma è vissuta in quanto costituisce un bene in sé e nasce da motivazioni intrinseche.

3.4. Beni relazionali primari e secondari


Donati opera delle distinzioni nella categoria di beni relazionali contraddistinguendoli come primari o secondari. Il bene relazionale secondario è caratterizzato da un outcome che si somma alle altre componenti prodotte dall’interazione-incontro. Poniamo infatti che in un incontro vi siano due fonti di utilità di natura non relazionale dove solo la terza componente è rappresentata dal bene relazionale. L’eventuale valore nullo di tale componente non azzera l’utilità complessiva per il soggetto, quindi in questo caso, il valore del bene in gioco non si annulla per l’assenza del bene relazionale; se una persona si fa visitare da un medico tecnicamente bravo, ma con il quale non si crea nessun bene relazionale, il bene economico “visita medica” conserva la sua esistenza e un suo valore. La seconda caratteristica dei beni relazionali secondari è che il valore del bene relazionale può trovare un valore monetario sostituto del bene stesso. Nel caso di bene relazionale primario accade che la componente relazionale dell’incontro non può essere eliminata senza distruggere il bene stesso che ne annulla il valore. Infatti il bene relazionale è rappresentato da una produttoria di questo tipo dove la componente relazionale è un parametro che agisce come componente moltiplicativa dell’intera sommatoria nella quale come addendi troviamo le componenti non relazionali dell’interazione. Infatti in un bene relazionale primario sono sempre presenti le componenti relazionali generate dall’incontro anche se si tratta di interazione fortemente caratterizzata da una forte valenza relazionale come quella interna ad un nucleo famigliare. Tuttavia il ruolo della relazionalità è essenziale affinché le altre componenti non relazionali possano produrre “utilità”, perché se la dimensione relazionalità, la sommatoria individuata sopra non genera alcun effetto in termini di benessere. Infatti se viene meno la componente affettivo – comunicativa del rapporto stesso, è l’intero rapporto che scompare. Occorre aggiungere che i beni relazionali primari non hanno un valore monetario che possa supplirli, ossia non sono convertibili in moneta senza che questo finisca per snaturarli.

3.5. I falsi beni relazionali


Nelle economie avanzate, come nel caso dei beni posizionali, vengono anche prodotti surrogati a basso costo di beni relazionali, ossia i falsi beni relazionali. Un esempio di questi beni sono le “relazioni simulate” come quelle offerte da Internet e dalla televisione. Un caso molto emblematico riguardano i reality show: i telespettatori li vivono come vere e proprie relazioni simulate e assumono un valore particolare per il fatto che i protagonisti del reality possiedono un determinato bene posizionale, ossia la notorietà. In altre parole, una delle ragioni per cui per lo spettatore la relazione simulata ha senso, si riferisce proprio al fatto che il protagonista, attraverso il reality show, sta acquisendo notorietà e si differenzia dalla massa delle persone che non hanno accesso al bene posizionale in oggetto, pur desiderandolo e assegnando a bene un valore molto elevato. Lo spettatore consuma un bene che è sia pseudo-relazionale che pseudo-posizionale perché la relazione simulata genera nello spettatore l’illusione di consumare lo stesso bene posizionale di cui invece unicamente i protagonisti del reality sono in possesso.
Bruni e Stanca nel 2006 attraverso una rilevante indagine campionaria e individuano un effetto significativo dei beni relazionale sulla life satisfaction come pure un effetto di spiazzamento del consumo televisivo sulla relazionalità. Un primo insieme di indicatori riguarda l’impegno attivo sul fronte del volontariato individuale in ambito associazionistico; un secondo indicatore attiene al tempo impiegato nell’ambito di specifici gruppi sociali (parenti, amici, ecc..). Per capire meglio questo risultato è importante tenere presente anche il fatto che il consumo di televisione rappresenta la più importante attività di occupazione del tempo libero nel mondo. Un altro esempio di consumo di falso bene relazionale riguarda i siti internet dedicati agli incontri, dove chattare è una simulazione dell’incontro reale infatti: l’identità della persona conta molto, vi è simultaneità, e c’è un’assenza di strumentalità. Questo tipo di relazione sostituisce in modo crescente la relazione reale, in quanto meno costosa, rischiosa ed esigente. Concludendo, possiamo giustificare la nascita di surrogati a basso costo, perché il consumo di beni relazionali primari è altamente time-intensive, ma oggi il tempo costituisce la risorsa scarsa per eccellenza, in più questi bene sono dipendenti dalle libere scelte degli altri e ciò li rende vulnerabili e fragili.

1 Sacco, 1999

2 Lezioni di Economia Civile – Antonio Genovesi

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